Ore 7:17,
alla radio suona Don’t worry be Happy di Bobby McFerrin e tra le dune di polvere del mio comodino La Peste di Albert Camus è il vangelo di questi giorni.
E’ trascorsa la prima settimana di quarantena dopo i decreti legge del 8-9 e 11 marzo 2020 del Governo Italiano e la dichiarazione di Pandemia da COVID-19 della WHO, così decido di scrivere qualche pensiero su carta.
Pensando a Camus, il mondo intero con le sue nazioni oggi mi ricorda una grande Orano dove gli abitanti reagiscono ognuno a modo proprio. Alcuni non rinunciano ai piaceri della vita di ogni giorno e frequentano bar e ristoranti che restano aperti, altri invece si barricano in casa temendo il contagio. Mi sembra di vederli, il dottor Bernard Rieux che a rischio della propria salute non si tira indietro dal prestare le cure ai contagiati, Cottard che si arricchisce lucrando sulla carenza di generi di prima necessità, Padre Paneloux che nelle sue prediche ammonisce l’epidemia come una punizione mandata da Dio per colpire gli uomini privi di qualsiasi spirito di carità, Jean Tarrou che annota nei suoi taccuini la cronaca dell’epidemia, Raymond Rambert che prima cerca disperatamente di scappare e ricongiungersi alla donna amata ma poi, spinto da consapevolezza e solidarietà, resta per unirsi alla lotta.
Ore 12:22,
alla stessa ora il 23 agosto 1968 Josef Koudelka fotografa Piazza San Venceslao di Praga, completamente deserta dopo il boicottaggio di una grande manifestazione contro l’occupazione dell'esercito russo avvenuta la notte del 21.
Ma stavolta il nemico non ha testate nucleari, carri armati, kalashnikov o bombe, nessuna flotta di mare o di cielo, nessun esercito, non è un dittatore folle e sanguinario, non ha volto, colore della pelle, interessi geografici, economici, smanie di conquista o credo religioso.
E’ invisibile ma porta la corona, un’infinitamente piccolo agglomerato di proteine e sequenze di RNA talmente labile da non avere neanche vita propria, costretto e sfruttare parassita le nostre cellule per riprodursi eppure capace di mettere in ginocchio la salute, l’economia, la politica, la vita dell’intero genere umano.
Si è passati, con un ritmo a dir poco incalzante, dalla sottostima geografica del problema in Cina, alla prudenza politica ed economica che scongiurasse l’effetto panico, all’allarme generale e incondizionato ed all’isolamento forzato. Confusione, disorientamento e caos regnano sovrani. Nello sconforto per un’informazione mai del tutto soddisfacente, fuorviata dalle fake-news, ambigua e incompleta perché impreparata alla novità, si impone la scelleratezza del nostro giudice interiore che disattende il bisogno della mente di adattarsi al cambiamento. Ma l’Italia si sa, lo abbiamo imparato dai mondiali di calcio, dà il meglio di se nelle difficoltà quando si trova sotto pressione ed anche questa volta sta rispondendo con esemplare compostezza nel gestire l’emergenza, lo confermano pure i cinesi che giocano da vincenti la partita finale contro il virus.
E gli altri paesi cosa fanno? Vicini e oltreoceano stanno tutti a guardare il “Modello Italia” come si osserva una cavia in gabbia per registrarne errori e progressi. La Spagna di Pedro Sanchez, che fino a pochi giorni fa badava alla movida, e la Francia di Emmanuel Macron, iniziano con ipocrita lentezza a replicare gli stessi errori e provvedimenti italiani. Quest’ultima solo dopo gli exit-poll dei suoi elettori martiri inconsapevoli. La Germania di Angela Merkel, che prima blocca le esportazioni di materiali e strumentazioni in Italia e poi riaprirle solo perché costretta dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, in un videomessaggio su Twitter. Per non parlare della Gran Bretagna dello stoico vittoriano Boris Johnson che avvalendosi del suo degno consigliere scientifico draconiano sir Patrick Vallance, dichiara di essere disposta a “perdere i propri cari prematuramente” attraverso il contagio del 60% della popolazione pur di sviluppare una certa immunità; dimenticando però che la cosiddetta “Immunità di Gregge” è un obiettivo da raggiungere tramite le campagne vaccinali a partenza da una popolazione immune consolidatasi dopo la prima ondata di epidemia e non indotta volontariamente lasciando infettare il maggior numero di persone come fossero carne al macello. E’ vero che il suo “stiff upper lip” ricorda illustri predecessori da Winston Churchill a Margaret Thatcher, ma a che prezzo?
Perfino il repubblicano Donald Trump sembra rinsavire in queste ore davanti al quadro di una potenziale ecatombe dell’inesistente sistema sanitario USA nonché del crollo di Wall Street, e questo la dice lunga sullo stato delle cose. Mentre tutto questo accade, “non siamo qui per ridurre lo spread”, le parole di Christine Lagarde alla BCE che prima discute maldestramente della politica monetaria europea determinando il crollo dei titoli di stato italiani per poi ritrattare e chiedere scusa pubblicamente. Piuttosto che minare la sua credibilità, ancor più dei titoli di stato, la Lagarde non farebbe meglio a far emettere Eurobond, unica ancora di salvezza monetaria in questo periodo di crisi suprema? Che fine ha fatto lo spirito di cooperazione sul quale si fonda la Comunità Europea?
Oggi è la minaccia alla salute da affrontare con risolutezza ma domani, quando il pericolo sarà sventato, ci troveremo a far fronte alle ripercussioni economiche di questa crisi e bisognerà stare ancora in allerta affinché l’ultima vittima del virus non sia proprio la democrazia.
Invito a fare un ulteriore piccolo sforzo di riflessione.
Emergenza o no, questo virus non ha sconfitto la fame nel mondo, non ha determinato armistizi o trattati di pace in Siria o tra altre nazioni in guerra, non ha curato l’AIDS o il cancro e non impedisce torture, stupri e sevizie ai migranti delle carceri libiche. Eppure avete notato che ormai di questi argomenti non se ne parla quasi più? Dove sono finiti i Matteo Salvini, le Marine Le Pen e tutti i movimenti nazionalistici pronti a fare i forti coi più deboli, gli autoritari senza autorevolezza, a voler imporre il loro pensiero su menti deboli e plagiate? Stanno zitti e hanno paura anche loro, la stessa paura su cui hanno fondato le loro teorie e le loro azioni in tempi non sospetti. Ma state pur certi che si rifaranno vivi quando tutto sarà finito, ed in maniera subdola come solo i vermi sanno fare.
“La peste fu un affare di tutti”…mi torna ancora in mente Camus. Anche questo virus è un affare di tutti, riguarda tutti indistintamente, ci separa geograficamente, ci distacca dai nostri cari o unisce famiglie, ci toglie il conforto di un abbraccio o la poesia di un bacio ma così facendo ci obbliga a riflettere su noi stessi, sul tempo che ci dedichiamo e che dedichiamo agli altri, sulle nostre responsabilità verso un ecosistema natura del quale siamo ospiti e che continuiamo ad oltraggiare e stressare fin dalla nostra comparsa su questo pianeta, ci costringe a riscoprire una gerarchia nelle cose. Perfino la nostra idea dei social network è sovvertita, da strumento di svago ad indispensabile mezzo di comunicazione. Sfruttiamo questo tempo di necessario isolamento per ricordare ciò abbiamo smarrito, troppo occupati a rincorrere quelle ambizioni che la società stessa ci ha imposto. Ascoltiamo e ascoltiamoci.
“Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo. La crisi può essere una vera benedizione per ogni persona e per ogni nazione, perché è proprio la crisi a portare progresso.
La creatività nasce dall'angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce le proprie sconfitte e i propri errori alla crisi, violenta il proprio talento e mostra maggior interesse per i problemi piuttosto che per le soluzioni. La vera crisi è l'incompetenza. Il più grande difetto delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel trovare soluzioni.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. È nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora; senza crisi qualsiasi vento diventa una brezza leggera. Parlare di crisi significa promuoverla; non parlarne significa esaltare il conformismo. Cerchiamo di lavorare sodo, invece. Smettiamola, una volta per tutte, l'unica crisi minacciosa è la tragedia di non voler lottare per superarla.”
Con queste parole Albert Einstein vede nella crisi un’opportunità per l’uomo, una vera benedizione. Che sia questo il senso? Che il virus non sia portatore di tale opportunità? O che rappresenti invece una reazione immunitaria da parte della Natura per liberarsi del virus umano che l’ha infettata? Che sia una medicina di consapevolezza per le coscienze?
Staremo a vedere. Io intanto questa mattina ho scattato questa foto della Scala dei Turchi, a poche centinaia di metri da casa. La celebre falesia bianca, candidata a patrimonio dell’Unesco e meta turistica di milioni di visitatori l’anno, oggi è completamente vuota.
Personalmente credo che solo rimanendo distanti ma uniti nella scienza, nella civiltà, nella fratellanza, nell’umanità, solo sentendoci parte di un unico sistema, riusciremo a debellare il nemico invisibile. La Scala tornerà ad essere popolata e tutti potremo tornare alle nostre vite. Cambiate per sempre.
1. A. Camus, La Peste, Gallimard. 1947
2. J. Koudelka, Piazza San Venceslao, Praga. 23 agosto 1968
3. A. Einstein, La crisi può essere una vera benedizione. 1955
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